Lettera a Giacomo Leopardi
Caro Giacomo, io e te siamo nati
al solstizio di Giugno
sappiamo bene di quella notte
e della sua luna
luce che capita, capita, in rigoroso silenzio.
Volevo dirti del tuo giardino, il giardino
che hai abbandonato, forse non lo hai mai amato.
Delle rose martoriate dal sole, quando l’ape
straziava il giglio, è rimasto ben poco
schiene infestate dal formicolio, cruciate dall’aria.
Troppa luce, troppo caldo, troppo fresco all’ombra
si pativa incomodi nel crescere, ricordi?
Quel vegeto stato di souffrance che dicevi.
Sai, il tuo giardino si è spogliato di ogni pianta morsicata
dei passi che spremevano sangue all’erba
la scorza deflorata dal vento
non è più un vasto ospitale e non rallegra l’anima
il tuo giardino non ha saputo più soffrire
forse per ingratitudine, pigrizia
quel giorno ha smesso di germogliare
Salvatore Leone 2013
Hai scritto un colpo di pistola. E ti pare poco saperlo fare.
Se lui leggesse forse ti inviterebbe a pranzo, per a dissertare in compagnia, che alcune risposte dette con le mani di un altro sembrano più vere.
Detto ciò, mi sono soffermata sulla luce che capita.
Un giorno magari scriverai del potere che qualcuno ha di accenderla a perdifiato.
Gitti.
Grazie Gitti 😉